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L’ACCORDO KUNMING-MONTREAL DI COP15: I PAESI AFRICANI CONTRO PECHINO

Nella tarda notte di domenica, intorno alle 4 del mattino ora di Montreal, a COP15 è stato adottato l’Accordo Kunming-Montreal, il quadro globale per la biodiversità (global biodiversity framework o GBF) per questo decennio. 

Il Presidente di COP15, Huang Runqiu, ha proposto durante la plenaria di chiusura di adottare l’Accordo Kunming-Montreal e un pacchetto di decisioni tra cui il quadro di monitoraggio, i meccanismi di pianificazione, monitoraggio e revisione, capacity building e cooperazione tecnologica, mobilitazione di risorse e informazioni sulla sequenza digitale (DSI) delle risorse genetiche.

La Repubblica Democratica del Congo (RDC), il Paese Africano che ospitano una delle più grandi aree di foresta tropicale al mondo, ha affermato di essere profondamente deluso dall’Accordo Kunming-Montreal che non include i mezzi necessari per garantire un’adeguata implementazione, in particolare risorse finanziare adeguate, fornite dai Paesi ricchi a supporto dei Paesi in via di sviluppo, per l’implementazione (la richiesta era di 100 miliardi di dollari all’anno). La RDC ha, quindi, affermato di non supportare l’adozione dell’Accordo Kunming-Montreal, definendo il target 19 relativo alla finanza e l’obiettivo 30×30 “un fallimento”. 

Dopo pochi minuti, il Presidente di COP15, Huang Runqiu, ignorando la dichiarazione della Repubblica Democratica del Congo, ha adottato l’Accordo Kunming-Montreal e il pacchetto di decisioni. 

In risposta, diversi Paesi Africani hanno criticato l’operato della Presidenza Cinese riguardo l’adozione dell’Accordo. Il Camerun ha definito l’operato della Presidenza una forzatura, l’Uganda ha sollevato una mozione d’ordine chiedendo come si possa dichiarare adottata una decisione quando le parti hanno sollevato obiezioni, dato che il regolamento prevede che si decida per consenso e chiedendo alla Presidenza di chiarire se la sua azione fosse in linea con il regolamento o se fosse “una frode”. Una parte della Plenaria ha risposto all’intervento dell’Uganda con un applauso. 

A quel punto è intervenuto un legal advisor che ha dichiarato che l’adozione era in linea con le procedure e affermando che c’era stato un commento da parte della Repubblica Democratica del Congo, ma che non si trattava di un’obiezione formale. 

La Namibia è poi intervenuta a supporto della RDC affermando che l’ingiustizia coloniale è all’origine di tutti i problemi che abbiamo avuto in questo negoziato e in generale tra l’umanità, la natura e la biodiversità, affermando che abbiamo subito un trauma sistemico che ha distrutto il legame tra umanità e natura. Ha poi continuato affermando che l’architettura economica e finanziaria globale, nata dal colonialismo, dalle estrazioni di risorse, dalle piantagioni, dall’intera narrazione dei Paesi sviluppati contro quelli in via di sviluppo, che per tanti anni ha inficiato i risultati in seno ai negoziati della Convenzione sulla Biodiversità (CBD), ha bisogno di soluzioni molto più omnicomprensive e olistiche di quelle che sono state incluse nell’Accordo Kunming-Montreal. L’Accordo di COP15 non è il passo finale, non basta vivere in armonia con la natura entro il 2050, il nostro rapporto con la natura è malato e c’è ancora molto lavoro da fare dopo l’adozione dell’Accordo, ha concluso il delegato. 

Questo è il clima in cui è stato adottato l’Accordo Kunming-Montreal, un accordo che ha  cercato di ridurre i disaccordi tra i Paesi, creando compromessi, che però ledono su alcuni temi il livello di ambizione. Ecco i punti chiave: 

SCIENZA 

Si fa riferimento alla scienza e in particolar modo ai rapporti dell’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services). Si scrive nero su bianco che la biodiversità si sta deteriorando in tutto il mondo a ritmi mai visti nella storia dell’umanità, da decine a centinaia di volte superiore al ritmo medio degli ultimi 10 milioni di anni e circa 1 milione di specie sono a rischio estinzione, molte delle quali nel giro di qualche decennio.

FINANZA

Come nelle COP del clima, la finanza è stato il nodo chiave di questo negoziato (ne avevamo raccontato qui). Nel testo finale si menziona il gap finanziario di 700 miliardi di dollari all’anno a tutela della biodiversità e si prevede (nel target 19) di aumentare in modo progressivo il livello di risorse finanziarie a supporto dell’implementazione mobilitando almeno 200 miliardi di dollariall’anno, ma è stato inserito nel testo “entro il 2030”. Inoltre, come a COP27, anche a COP15 i Paesi in via sviluppo avevano richiesto ai Paesi ricchi di essere sostenuti con fondi economici. L’Accordo prevede di aumentare il totale delle risorse finanziarie internazionali legate alla biodiversità provenienti dai Paesi sviluppati, a favore di quelli meno sviluppati, per un totale di 20 miliardi di dollari l’anno entro il 2025 e di 30 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. È un compromesso e una cifra inferiore rispetto a quanto richiesto dai Paesi meno sviluppati (100 miliardi di dollari l’anno). Inoltre, non si tratta di fondi aggiuntivi, ma di una cifra prevista all’interno dei 200 miliardi di dollari l’anno. 

Ricordiamo che il tema della finanza è particolarmente delicato perché la mancanza di fondi finanziari adeguati è stata una delle principali cause del fallimento dei precedenti obiettivi per il decennio 2010-2020, i target di Aichi. 

Global Biodiversity Framework Fund (GBF Fund) 

Nell’Accordo è stato rimosso il riferimento all’istituzione di un Fondo globale per la biodiversità entro il 2023, presente nella precedente bozza. Il Fondo era stato proposto dal Brasile, insieme al Gruppo dei Paesi Africani e il gruppo Like-Minded Developing Countries (LMDC), come avevamo spiegato qui

Se ne parla però nella decisione sulla mobilitazione delle risorse, dove si menziona un Fondo fiduciario speciale per sostenere l’attuazione del Quadro Globale per la Biodiversità o Global Biodiversity Framework Fund (GBF Fund) e si richiede al Global Environmental Fund (GEF) di istituirlo entro il 2023 e tenerlo attivo fino al 2030, con l’obiettivo di garantire  finanziamenti internazionali, nuovi e aggiuntivi, per la biodiversità, per un valore commisurato all’ambizione dell’Accordo di COP15.

Riforma delle banche multilaterali 

Come a COP27, si richiede una trasformazione dell’architettura finanziaria globale e la riforma delle banche multilaterali di sviluppo e delle istituzioni finanziarie internazionali per renderle idonee a sostenere l’attuazione dell’ Accordo Kunming-Montreal. 

OBIETTIVO 30×30

Viene inserito nell’Accordo finale l’obiettivo di conservazione del 30% delle aree terrestri e marine entro il 2030. L’obiettivo 30×30 prevede di duplicare la conservazione delle aree terrestri prevista dagli Aichi Target (17%) e di triplicare quella prevista per le aree marine (10%). Molti affermano che 30×30 diventerà l’obiettivo guida per la biodiversità, il corrispettivo dell’1,5 C° dell’Accordo di Parigi. 

Third World Network, organizzazione di advocacy che si occupa di questioni relative ai Paesi in via di sviluppo e agli affari Nord-Sud, però ha messo in guardia sul fatto che per fermare il collasso ecologico ci vorrà molto di più di un ampliamento della aree protette, e un’attenzione molto più forte ad affrontare le cause profonde della perdita di biodiversità, come il sovraconsumo. 

Inoltre, dopo le pressioni da parte di diverse ONG, tra cui Survival International, Amnesty International, che avevano  espresso preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani che l’espansione di Aree Protette potrebbero causare affermando che le Aree Protette sono il cardine del modello di conservazione dominante condotto dall’Occidente, nel testo finale dell’Accordo Kunming-Montreal è stato inserito il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali.

L’obiettivo 30×30 si ispira alla teoria di Edward O Wilson che sostiene la necessità di proteggere metà del pianeta per la sopravvivenza a lungo termine dell’umanità e, infatti, molti affermano che si dovrebbe proteggere non il 30%, ma il 50% delle aree terrestri e marine entro il 2030. 

SUSSIDI ALLE ATTIVITÀ DANNOSE PER LA BIODIVERSITÀ 

Un altro tema centrale è stata la riforma dei sussidi alle attività che inquinano o danneggiano la biodiversità. L’accordo parla di identificare entro il 2025 ed eliminare o riformare i sussidi dannosi alla natura per una cifra di almeno 500 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. E’ stato eliminato il riferimento a industrie specifiche, quali l’agricoltura e la pesca, e non sono stati inseriti riferimenti ai combustibili fossili o altri settori altamente dannosi per la biodiversità, come il settore estrattivo. La buona notizia è che è stato trovato l’accordo sul valore di 500 miliardi di dollari l’anno, ma inserendo nel testo il riferimento  entro il 2030, non si chiede di renderlo operativo subito. Inoltre, ricordiamo che l’obiettivo di eliminare tutti i sussidi dannosi per la biodiversità era già previsto negli obiettivi di Aichi per il 2020, ma non è avvenuto. 

SETTORE PRIVATO 

Nel testo è stata eliminata la richiesta di rendere obbligatorio per il settore privato di rendicontare i propri impatti sulla natura. Nell’accordo finale si “incoraggia” solo le imprese e le istituzioni finanziarie a farlo e, in particolare, a:

  • monitorare, valutare e rendere noto in modo trasparente i rischi, le dipendenze e i loro impatti sulla biodiversità lungo tutta la value chain;
  • fornire le informazioni necessarie ai consumatori per promuovere modelli di consumo sostenibili;
  • relazionare in merito all’osservazione dei regolamenti e misure di accesso e condivisione dei benefici (access and benefit-sharing);
  • promuovere modelli di produzione sostenibili, tuttavia è stato eliminato il riferimento ai modelli di produzione circolare.

Inoltre, è stato eliminato il riferimento al rispetto dei diritti umani e al fatto di assumersi la responsabilità legale per le infrazioni, anche attraverso sanzioni e risarcimenti per i danni. 

RIPRISTINO DELLA NATURA 

Si chiede di garantire che entro il 2030 almeno il 30% delle aree degradate terrestri e marine sia ripristinato al fine di migliorare la biodiversità e le funzioni degli ecosistemi. Viene, però, eliminato il riferimento al target numerico; nella prima bozza tra le opzioni c’era 1 miliardo di ettari. 

PESTICIDI E INQUINAMENTO DA PLASTICA E NON  

Nel Target 8, si parla di ridurre del 50% i rischi derivanti dai pesticidi, anche se nella prima bozza c’era anche l’opzione di “due terzi”. In particolare, ridurre i rischi e l’impatto negativo dell’inquinamento da tutte le fonti, entro il 2030, a livelli che non siano dannosi per la biodiversità, ridurre di almeno la metà l’eccesso di nutrienti persi nell’ambiente e ridurre di almeno la metà il rischio complessivo derivante dai pesticidi e dalle sostanze chimiche altamente pericolose. Si parla di “prevenire, ridurre e lavorare per eliminare” l’inquinamento da plastica, ma non si fa riferimento al trattato internazionale giuridicamente vincolante sui rifiuti di plastica, attualmente in negoziazione.  

ESTINZIONE

Si parla di estinzione e l’Accordo prevede che l’estinzione indotta dall’uomo di specie note minacciate sia arrestata e che entro il 2050 il tasso di estinzione e il rischio di estinzione di tutte le specie sia ridotto di 10 volte. L’UE ha affermato che un miliardo di specie sono a rischio di estinzione e che questo tema doveva essere affrontato meglio, con obiettivi per fermare le estinzioni indotte dall’uomo di tutte le specie minacciate entro il 2030 e ridurre i rischi di estinzione del 25% entro il 2030 e del 50% entro il 2050. 

SOVRACONSUMO E GLOBAL FOOTPRINT

È stato eliminato l’obiettivo di ridurre del 50% la footprint dei consumi e della produzione entro il 2030. Nel testo finale si parla di ridurre l’impronta ecologica dei consumi “in an equitable manner” senza menzionare un target numerico, riducendo il sovraconsumo e la produzione di rifiuti e dimezzando lo spreco alimentare. Il target è parecchio vago, non ci sono elementi di misurabilità  né target numerici chiari per affrontare correttamente il problema dell’impronta ecologica.

Inoltre, è stato eliminato il riferimento alle diete sostenibili; ricordiamo che il Canada non era a favore della riduzione del consumo di carne. 

CAMBIAMENTO CLIMATICO 

Non è stato inserito che la natura possa contribuire entro il 2030 agli sforzi di  mitigazione globale, per un valore di 10 Gt (gigatonnellate) di CO2 equivalente all’anno

Non è stato inserito il riferimento al principio di common but differentiated responsibility (CBDR), di cui avevamo parlato qui. Si menzionano le nature-based solutions, ma l’EU ha lamentato il mancato riferimento alla risoluzione 5/5 dell’UNEA sulle stesse che è, invece, stata inclusa nella decisione finale di COP27. 

PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

L’Accordo prevede che tutte le aree siano sottoposte a una pianificazione territoriale partecipativa e integrata che tenga conto della biodiversità al fine di ridurre, entro il 2030, “quasi a zero (near to zero)” la perdita di aree di alta importanza per la biodiversità rispettando i diritti delle Popolazioni Indigene e delle comunità locali. 

SPECIE INVASIVE

Si prevede di eliminare, minimizzare, ridurre e/o mitigare gli impatti delle specie esotiche invasive sulla  biodiversità e sui servizi ecosistemici e di ridurre i tassi di introduzione e di insediamento di altre specie esotiche invasive note o potenziali di almeno il 50 per cento entro il 2030


DIRITTI INDIGENI

Rispettare i diritti e la leadership delle popolazioni indigene è una questione di giustizia, ma è anche l’unico modo per garantire il successo dell’attuazione dell’Accordo Kunming-Montreal. Nell’Accordo si riconosce l’importante ruolo e contributo delle Popolazioni Indigene e delle comunità locali come custodi della biodiversità affermando l’importanza del rispetto dei loro diritti, della conoscenza tradizionale, dei loro valori e che le Popolazioni Indigene siano incluse in modo effettivo all’interno del processo decisionale sulla biodiversità. Le Popolazioni Indigene sono menzionate in 7 dei 23 target dell’accordo, ma non si fa riferimento al fatto che rappresentano circa il 5% della popolazione e proteggono l’80% della biodiversità globale

DIGITAL SEQUENCING INFORMATION (DSI)

Ovvero la questione dello sfruttamento della ricchezza naturale e della diversità genetica dei Paesi meno industrializzati da parte di aziende private multinazionali e dai Paesi sviluppati. La decisione relativa al Digital Sequencing Information prevede di istituire un meccanismo multilaterale per la condivisione dei benefici derivanti dall’uso delle informazioni sulle sequenze digitali delle risorse genetiche, compreso un fondo per ricevere ed erogare le entrate generate. Funzione che potrebbe essere svolto dal Global Biodiversity Framework Fund (GBF Fund) e non da un fondo ad hoc. 


SALUTE E APPROCCIO ONE HEALTH

L’accordo riconosce le interconnessioni tra biodiversità e salute e parla dell’importanza di implementare l’Accordo tenendo conto dell’approccio one health, salvaguardando cioè la salute delle persone, degli animali, delle piante ed ecosistemi e riconoscendo la necessità di un accesso equo a strumenti e tecnologie, tra cui farmaci, vaccini e altri prodotti sanitari legati alla biodiversità ed evidenziando l’urgenza di ridurre le pressioni sulla biodiversità e di diminuire il degrado ambientale al fine di ridurre i rischi per la salute.

TRASPARENZA

Per concludere, uno dei punti cruciali dell’Accordo Globale è anche un robusto sistema di pianificazione, monitoraggio e revisione, che, per altro, è fondamentale per l’implementazione. Una delle principali ragioni del fallimento degli obiettivi di Aichi, infatti, è stata proprio la mancanza di un sistema di monitoraggio dell’implementazione.Durante i negoziati si è discusso se: 

  • fornire flessibilità nell’attuazione alle Parti in via di sviluppo in base alle loro circostanze nazionali;
  • debbano essere aggiornati entro COP16 (che si terrà nel 2024), le strategie e i piani d’azione nazionali per la biodiversità (NBSAP),  alla luce del nuovo accordo globale in negoziazione a Montreal; 
  • debbano essere presentati nel 2025 e nel 2029 i rapporti nazionali, il principale strumento di rendicontazione sui progressi compiuti rispetto ai loro NBSAP;
  • vada effettuata entro la COP16 e la COP18 l’analisi globale dell’ambizione collettiva (Global analysis of collective ambition) e la global stocktake vada effettuata entro la COP17 e la COP19;
  • gli attori non statali debbano essere “incoraggiati” a cooperare e ad integrare gli sforzi intrapresi dalle Parti nei loro NBSAP.

In generale, tutti i target temporali  sono stati rimossi dall’accordo finale. Maggiori informazioni sono contenute nella decisione relativa

L’Accordo Kunming-Montreal è solo un punto di partenza. Gli obiettivi dell’Accordo devono tradursi ora in azioni concrete a livello nazionale. Non possiamo più aspettare, il tempo è scaduto; dobbiamo proteggere e rigenerare la biodiversità che abbiamo danneggiato adesso, perché senza natura non abbiamo niente e mettiamo a rischio la nostra stessa sopravvivenza sul pianeta.

Articolo a cura di Margherita Barbieri, volontaria sezione Clima e Advocacy

Immagine di copertina: fonte, EEAS European Union https://www.eeas.europa.eu/eeas/historic-outcome-cop15-chance-keep-our-planet-livable-generations-come_en

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