COP ROLLERCOASTER
A chi non è addetta o addetto ai lavori questa prima settimana di COP28 potrebbe aver dato qualche capogiro. Montagne russe di annunci a sorpresa, aspettative non chiarissime, dichiarazioni ai limiti del surreale, ma soprattutto scarso (per ora) avanzamento negoziale – e quest’ultimo fatto potrebbe essere l’unica notizia “normale” da Dubai.
Le delegazioni del mondo sono arrivate negli Emirati, ormai una settimana fa, con la certezza che in questa seconda COP politica dopo Glasgow qualcosa sarebbe successo, che la Presidenza della COP avrebbe spinto su alcuni temi “maneggevoli” (per loro). Insomma, che in qualche modo il sistema si sarebbe auto-traghettato verso i lavori della seconda settimana, quelli decisivi per la decisione sul testo finale, sulla decisione sul primo Global Stocktake sotto l’Accordo di Parigi.
Abbiamo raccontato nei nostri articoli di come la Presidenza emiratina abbia voluto da subito imprimere alla COP un ritmo non usuale, inserendo in agenda e facendo adottare già nella prima plenaria le regole che determineranno la governance del nuovo Fondo globale per perdite e danni, regole che pensavamo sarebbero state dibattute per giorni qui alla “fiera” di Dubai. Invece, adozione immediata dell’intero pacchetto così come uscito dai lavori del Comitato di transizione, prendere o lasciare. Mossa peraltro preparata nelle settimane precedenti, e bene: lo si è capito dal successivo susseguirsi di annunci di contribuzione al nuovo Fondo il giorno dopo, con Italia, Germania e Francia come primi contributori assieme agli stessi Emirati. L’esito (per noi di ICN positivo) di una Loss and damage diplomacy che, vista l’estrema politicizzazione del tema delle compensazioni per perdite e danni da almeno un anno e mezzo, nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe dovuto dare lustro al Presidente della COP Al Jaber. Una posizione di leadership rispetto alla maggioranza dei Paesi del mondo, che certo non si aspettavano questa accelerazione. Stessa accelerazione impressa all’agenda dei negoziati, che sono partiti a spron battuto mentre era ancora in corso il summit dei Capi di Stato e di Governo, addirittura con alcuni interventi in contemporanea, altra circostanza non usuale almeno a livello di protocollo.
Neanche 48 ore dopo la sorpresa iniziale in plenaria è però emersa una registrazione, risalente al 21 novembre scorso, in cui lo stesso Presidente della COP, Sultan Al Jaber, dichiarava in un evento online che tutto sommato non vi sono sufficienti evidenze scientifiche che dicano che per mantenere il riscaldamento globale entro +1,5°C alla fine del secolo sia necessario abbandonare le fonti fossili e che, anzi, farlo ci riporterebbe all’epoca delle caverne.
La pubblicazione delle parole di Al Jaber, benché seguite da una mezza smentita dello stesso Presidente, hanno profondamente scosso il clima della COP, complice l’indignazione della società civile e della comunità scientifica che proprio da questa COP si aspettano – ci inseriamo nel gruppo anche noi di Italian Climate Network – un impegno serio della comunità internazionale verso l’uscita dalle fonti fossili accompagnata da adeguati strumenti finanziari per la transizione nei Paesi più fragili, accoglimento e rispetto della scienza più recente e, soprattutto, voglia di ridare vita al processo in vista dell’aggiornamento obbligatorio dei piani nazionali sulle emissioni (NDC) entro il 2025.
C’è chi si è spinto a scrivere che le frasi di Al Jaber siano state così forti, assurde e surreali (visto che oltre che essere il CEO di Adnoc, Al Jaber è anche il Presidente di una COP ONU sul clima) da far “crollare COP28”. Senza inoltrarci nel campo dell’esagerazione narrativa, possiamo certamente dire che quanto espresso dal Presidente della COP sicuramente non ha spinto in avanti il processo, rivelando anzi la vera natura di questa Presidenza al di là delle dichiarazioni ovattate di facciata.
Presidenza che potrebbe accompagnarci fino a tutto il 2024, visto che ad oggi pare non sia possibile giungere a una normale candidatura di alcun Paese ad ospitare la prossima COP in Europa orientale, altro punto nodale di questo inizio di COP28. È prassi, infatti, che nei primi giorni del vertice si annunci la città ospite di quello successivo, al termine del processo di selezione e negoziato tra i Paesi che si sono offerti (secondo criteri di turnazione geografica), tanto che questo punto era effettivamente in agenda nella prima plenaria del 30 novembre scorso. Per via della spaccatura geopolitica tra Federazione Russa e Unione Europea relativa al conflitto in Ucraina, tuttavia, Mosca sta usando il suo diritto di veto interno al gruppo Europa Orientale vanificando qualsiasi possibile soluzione (per esempio Polonia o Bulgaria, tra i Paesi più quotati fino a qualche giorno fa), rendendo realtà l’inedita ipotesi di una COP “tecnica” da tenersi a Bonn, presso il Segretariato UNFCCC, sempre sotto Presidenza emiratina nella transizione verso la successiva COP30 brasiliana del 2025.
Per organizzare una COP servono soldi, e di soldi si è molto parlato in questa prima settimana a Dubai, sia in termini di investimenti nelle rinnovabili sia dal punto di vista della finanza globale per il clima e del nuovo obiettivo collettivo per il dopo-2025, ce lo racconta bene Teresa Giuffré in questo articolo sul nostro sito.
Le discussioni non sono ancora mature nonostante il presunto raggiungimento, finalmente, dell’obiettivo dei 100 miliardi di dollari all’anno da destinare (da parte dei Paesi storicamente responsabili) stabilito ormai quindici anni fa a Copenhagen. Raggiungimento che in ogni caso avrebbe comunque lasciato indietro miliardi e miliardi di aiuti non erogati per ogni anno di mancato raggiungimento nell’eterna attesa di uno scatto di volontà politica da parte dei grandi emettitori storici, in primis gli Stati Uniti d’America. Vedremo se nella seconda settimana il dibattito sul nuovo obiettivo globale andrà avanti in maniera significativa o meno.
Dalla seconda settimana, ora, ci aspettiamo negoziati molto politici, in particolare negli ultimi giorni. Come abbiamo avuto occasione di dire in più articoli sul nostro sito e nel nostro Bollettino COP, la vera cartina di tornasole di questa COP28 sarà la decisione finale basata sul Global Stocktake. Le aspettative sono basse, forse bassissime in termini di ambizione, ma sarà estremamente importante capire, captare, intercettare i movimenti politici delle varie delegazioni verso possibili compromessi su ogni paragrafo di quel testo, cercando di capire cosa avrà da dire la comunità internazionale su mitigazione, nuovi NDC, adattamento e finanza per l’adattamento, finanza per il clima e perdite e danni.
Resta tutto da vedere anche sull’uscita (phase-out) dalle fonti fossili, vera “bestia nera” negoziale per la maggior parte dei Paesi del Golfo che quella dicitura, nei testi, proprio non la vogliono vedere e che invece è apparsa – è un tentativo – tra le opzioni ancora in vita nella bozza trasmessa alle delegazioni al termine della prima settimana.
Saranno ancora montagne russe, insomma, e noi di ICN abbiamo preso volutamente i nostri voli di ritorno per ben oltre il 12 dicembre, data prevista di fine della COP, perché prevediamo allungamenti e discussioni notturne.
Salvo (nuove) sorprese, ma ormai ci stiamo abituando a (quasi) tutto.
Articolo a cura di Jacopo Bencini, Policy Advisor, Politiche Europee e Multilaterali sul Clima Italian Climate Network
Foto di copertina: UNFCCC