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Giu

NEGOZIATI INTERMEDI SB62 DI BONN, L’ANALISI DI ITALIAN CLIMATE NETWORK

Oggi a Bonn si sono chiusi i negoziati intermedi verso la COP30. Quelli a cui abbiamo assistito in queste due settimane sono stati i primi negoziati ONU sul clima dopo il dato storico del 2024, il primo anno con un’anomalia termica annuale superiore alla soglia di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Nonostante l’urgenza, però, dalle sale negoziali dove si prepara la COP30 sono emersi pochi passi avanti: su molti dei principali filoni negoziali, i testi che arriveranno alla COP brasiliana di novembre presentano ancora numerose questioni aperte. Su alcuni temi a Belém si ripartirà da “note informali”, ossia testi privi di valore legale, non adottati formalmente dai Paesi e pensati solo per riportare le visioni espresse in sala dai delegati – di fatto, degli “appunti di lavoro”.

Di seguito, l’analisi della nostra delegazione sui principali temi emersi.

Adattamento

Le discussioni sul Global Goal on Adaptation (GGA) sono proseguite fino all’ultimo giorno con profonde divergenze fra le Parti. Forte il disaccordo soprattutto sui temi della finanza e degli indicatori per il processo di valutazione globale, con divisioni profonde tra i Paesi sviluppati e in via di sviluppo.
Durante l’ultima sessione plenaria è stato adottato un testo decisionale parziale sul GGA, limitato ai primi 21 paragrafi su 39 inizialmente previsti. Il documento ha soprattutto lo scopo di non bloccare i lavori del gruppo di esperti sugli indicatori, per preparare dei documenti tecnici necessari alle negoziazioni di COP30. Tale adozione accoglie alcune richieste dei Paesi in via di sviluppo sul monitoraggio dei mezzi di attuazione, inclusa la finanza climatica.

A Bonn è stato impossibile trovare un accordo anche sulla valutazione collettiva dei Piani nazionali di adattamento (NAP) – tema già rinviato dalla COP29 – che dovrebbe valutare quanto i NAPs abbiano effettivamente rafforzato la resilienza e la capacità di adattamento nei Paesi in via di sviluppo. Negoziato rimandato a COP30: ne parliamo in modo più approfondito in questo articolo.

Finanza – Roadmap Baku to Belém

Si sono svolte a Bonn le consultazioni sulla cosiddetta roadmap Baku to Belém, che dovrebbe portarci a centrare il nuovo obiettivo collettivo quantificato sulla finanza climatica (NCQG) di almeno 1.300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 verso i Paesi considerati in via di sviluppo. 

Le consultazioni si inseriscono nel piano di lavoro della roadmap, cominciato a febbraio con la richiesta a tutti gli attori, interni al processo della Convenzione ONU sul Clima e non, di inviare le proprie aspettative per il processo, oltre che temi ed esperienze da considerare al suo interno. Il risultato sarà un report preparato dalle presidenze di COP29 e COP30, che verrà presentato come bozza l’8 settembre e, in versione definitiva, a Belém. Le consultazioni hanno mostrato con chiarezza che il tema della finanza climatica è tutt’altro che chiuso. I Paesi in via di sviluppo sono particolarmente scontenti dell’NCQG e hanno approfittato dell’occasione per puntare i piedi: per loro, la finanza pubblica deve essere lo zoccolo duro dell’azione climatica dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto in riferimento ad adattamento e a perdite e danni, e i Paesi sviluppati devono aumentare la loro ambizione, anche in riferimento alla (presunta) mancata implementazione dell’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi. Un piccolo assaggio di quello che ci aspetta a Belém.

Mitigazione – Mitigation Work Programme

I negoziati sullo Sharm el-Sheikh Mitigation Ambition and Implementation Work Programme sembravano avessero imboccato la strada giusta, ma non sono arrivati a destinazione. Il tema che ha occupato praticamente tutto il tempo a disposizione è stata la proposta di creare una piattaforma che favorisca l’implementazione degli obiettivi climatici nei Paesi in via di sviluppo. Lo strumento avrebbe dovuto essere collegato alle altre piattaforme presenti a livello nazionale e internazionale, anche sotto la Convenzione, e avrebbe dovuto permettere di scambiare buone pratiche, lezioni imparate, oltre che di facilitare l’accesso ai mezzi di implementazione. Supportata dalla quasi totalità dei Paesi in via di sviluppo, la proposta è stata osteggiata dai Paesi sviluppati e dai piccoli Stati insulari, che ritengono che la priorità del gruppo di lavoro debba essere rilanciare l’ambizione globale nella mitigazione attraverso messaggi politici. La piattaforma, quindi, dovrà probabilmente trovare un nuovo filone sotto cui nascere.  

In ogni caso, una nota informale verrà mandata avanti fino a Belém. Un piccolo successo per un gruppo di lavoro che finora non aveva ancora mai concordato su nessun documento. Ma, come ricorda il delegato britannico, “come possiamo dire che abbiamo passato due settimane a parlare di un tema così importante e urgente arrivando solo ad una nota informale?”.

Global Stocktake e nuovi NDC

Nei negoziati sulle modalità e le questioni logistiche del secondo Global Stocktake, le Parti hanno lavorato intensamente per cercare convergenze su tre temi chiave: il ruolo dell’IPCC, la durata del dialogo tecnico e la struttura tematica da adottare.
Nonostante discussioni costruttive e alcuni progressi, il testo resta ancora interamente tra parentesi. Mercoledì 25 giugno, penultimo giorno dei negoziati, le Parti hanno concordato di sospendere i lavori su questo punto e di riprendere la discussione a Belém, utilizzando come base l’ultima bozza di testo.

Un secondo tavolo negoziale ha riguardato la definizione delle modalità operative del Dialogo degli Emirati Arabi Uniti (UAE Dialogue), il meccanismo istituito per garantire un seguito concreto – soprattutto sul fronte della finanza – all’attuazione degli esiti del primo Global Stocktake del 2023. Durante la prima settimana le discussioni si sono concentrate su aspetti procedurali come calendario, input e formato, seguendo l’impostazione proposta dai Paesi sviluppati. Il clima, relativamente costruttivo, ha permesso un primo avvicinamento tecnico. Tuttavia con l’inizio della seconda settimana, il tema caldo del mandato, ossia cosa debba essere effettivamente coperto dal Dialogo, è inevitabilmente esploso. Le nuove bozze di testo, pur tentando di sintetizzare i punti emersi, hanno fatto riemergere con forza le divisioni politiche. La contesa è sfociata in un blocco procedurale: nessun testo adottato, ma solo una bozza senza alcun punto fisso e il rinvio di ogni decisione alla COP30 di Belém.

Parallelamente, nel tavolo dedicato al dialogo annuale tra Global Stocktake e NDC, numerosi Paesi e attori non statali hanno condiviso esperienze e riflessioni su come tradurre gli esiti del primo GST nei nuovi impegni climatici da presentare entro il 2025. È emersa una forte spinta a rendere i nuovi NDC più ambiziosi, concreti e inclusivi, integrando aspetti come giusta transizione, equità, salute, genere e conoscenze indigene. Molti Paesi – tra cui quelli più vulnerabili – hanno ribadito l’urgenza di facilitare l’accesso alla finanza e al supporto tecnico. Diverse delegazioni hanno già mostrato bozze avanzate dei propri NDC aggiornati. Le presidenze COP28, COP29 e COP30 hanno chiesto di presentare i nuovi NDC entro settembre, così da poterli includere nel rapporto di sintesi qui quello dell’anno scorso).

Giusta Transizione

I  negoziati sulla giusta transizione si chiudono a Bonn con una nota informale che lascia tutti scontenti, ma alla quale, nonostante tutto, viene dato il lasciapassare per Belém. La nota contiene alcuni riferimenti chiari agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, ai principi di equità e di responsabilità comuni ma differenziate, ad approcci olistici che non lascino nessuno indietro, rispettando tutti i diritti umani e garantendo la partecipazione nel processo di tutti i portatori d’interesse. Due temi in particolare rimangono aperti per ulteriori negoziazioni: il riferimento nel testo alla transizione dalle fonti fossili (il “transitioning away” di Dubai), osteggiato da Russia, Paesi arabi e altri Paesi in via di sviluppo, e alle misure unilaterali che limitano il commercio (come viene definito il CBAM europeo), respinto dai Paesi sviluppati, EU in prima linea. 

Politiche di genere e diritti

Anche per quanto riguarda le politiche di genere e i diritti umani i negoziati intermedi di Bonn hanno rappresentato un possibile indicatore di ciò che potremmo aspettarci alla COP30. Dopo una COP29 segnata da uno stallo difensivo si sperava in un cambio di ritmo, e inizialmente i lavori sono sembrati andare in quella direzione. La nota informale redatta dai co-facilitatori, basata sui workshop del 16-19 giugno, era apparsa come una buona base di partenza: articolata sulle cinque aree prioritarie del Gender Action Plan, proponeva circa trenta attività e relativi output, con il riconoscimento del ruolo delle donne attiviste per l’ambiente e i diritti umani (WEHRD). Il testo includeva anche una proposta finale di creare un “champion role” per WEHRD, l’inclusione esplicita di “gender diverse-people” nei processi decisionali e l’introduzione di un “gender indicator framework” attento alle specificità culturali. Tuttavia, proprio il linguaggio utilizzato ha suscitato resistenze da parte di alcune delegazioni. Il Paraguay ha espresso per primo la necessità di un’interpretazione binaria del termine “gender”, seguito da Santa Sede, Emirati Arabi Uniti, Argentina, Arabia Saudita e Cina. In particolare, è stata chiesta la rimozione del termine WEHRD, su cui la società civile aveva investito molte energie. I co-facilitatori hanno deciso di includere nel testo tutte le posizioni emerse, producendo però una bozza carica di parentesi, opzioni e posizioni da discutere: più una mappa delle divergenze che un testo operativo.
Si è quindi rimandato ogni passo avanti sostanziale a COP30, a Belém.

Budget del Segretariato UNFCCC

Come ogni anno a Bonn, i delegati hanno discusso del bilancio preventivo del Segretariato UNFCCC per i prossimi due anni (2026-2027). Risorse che servono a sostenere i salari dello staff, circa 190 persone, oltre che i costi di struttura e l’organizzazione di sessioni, workshop e incontri durante l’anno – i costi delle COP, infatti, vengono largamente sostenuti dal Paese ospitante di turno. Il tema del bilancio preventivo era particolarmente caldo quest’anno, vista la comunicazione degli Stati Uniti d’America sull’interruzione dei loro finanziamenti sotto la Convenzione. Sorprendentemente, il negoziato si è chiuso con l’adozione di un budget del 10% superiore al precedente biennale, arrivando a un bilancio “core” di €81,5 milioni (si parla qui della parte sostenuta quasi interamente da fondi pubblici). In questo aumento di budget spicca l’aumento della contribuzione cinese, che segna un marcato +5% portando Pechino a diventare il primo contributore globale con il 20% dei fondi. L’Italia contribuisce con il 2,8%, gli Stati Uniti teoricamente ancora con il 22%, risorse che pare arriveranno da Bloomberg Philanthropies in sostituzione del governo federale.

COP31

Nessun accordo su quale tra i Paesi del gruppo “Occidente e Altri”, di turno secondo l’usuale rotazione geografica, ospiterà la COP31 del 2026. I due candidati, Australia e Turchia, non sembrano aver ancora trovato un accordo tra loro verso il ritiro di una delle due offerte.

Analisi a cura della delegazione di Italian Climate Network.

Immagine di copertina: foto di UN Climate Change – Lara Murillo

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