11
Nov

UN “NO” TRAVESTITO DA IMPEGNO

A COP27 l’11 novembre era la giornata della decarbonizzazione e dell’atteso discorso del Presidente USA Joe Biden. Ma anche un’ulteriore giornata di negoziato tecnico, entrato ora veramente nel vivo. Già dalla sera di giovedì i referenti delle delegazioni di governi e associazioni hanno cominciato a veder circolare email da parte del Segretariato ONU del tipo “si informa che il centro congressi, come richiesto dai negoziatori, rimarrà aperto stanotte fino a termine delle sessioni; ristorante e bar fino a mezzanotte”. Segni evidenti di un qualche intoppo politico. Non siamo neanche a metà COP e già si negozia fino a notte inoltrata.

Nella mattinata di venerdì 47 Paesi inclusi tutti quelli del G7, l’Unione Europea, la Cina, l’Australia – insieme, oltre metà del PIL globale – hanno annunciato un’importante iniziativa multilaterale sulla riduzione delle emissioni, la “Breakthrough Agenda, un piano in 12 mesi per accelerare la transizione ecologica ed energetica. Più che un vero e proprio piano si tratta di un pacchetto di 25 diverse iniziative multilaterali tematiche, ma ne parleremo meglio nel Bollettino COP27 di domani.

Il momento più atteso venerdì era senza dubbio il discorso del Presidente statunitense Joe Biden, previsto nel pomeriggio. Biden non aveva parlato nelle due giornate dedicate ai leader – qui una nostra analisi sul discorso della premier italiana Meloni – semplicemente perché precedenti, da calendario, alle elezioni di metà mandato delle due Camere del Congresso. Biden è quindi atterrato a Sharm el-Sheikh liberato dalla prospettiva, fino a qualche giorno fa presentissima, di una batosta elettorale alle mid-term. Libero, in teoria, di rilanciare.

Sotto le aspettative?

Il suo discorso è stato invece tutto sommato deludente, soprattutto per chi aspettava una qualche esplicita apertura sul tema dell’anno, la creazione di strumenti finanziari per perdite e danni. Quasi irrealistico pensare ad un impegno in questo senso, ma questa COP è abbastanza incomprensibile e tutto può accadere. Non è accaduto. Dopo una carrellata mista di esperienze personali e di governo (“mia la prima proposta di legge su temi climatici nel 1996”), un saluto ai veterani e un passaggio sull’importanza della regolazione federale degli investimenti pubblici e sull’Inflaction Reduction Act (mastodontico piano di investimenti verdi da $369.000 miliardi di dollari varato pochi mesi fa), Joe Biden ha glissato sulla terminologia non citando perdite e danni, bensì semplicemente ribadendo il sostegno USA all’iniziativa Global Shield Against Climate Risks (per semplicità in italiano lo chiameremo Scudo Globale), lanciata al G7 a giugno e che verrà presentata a COP27 il prossimo 14 novembre. Insomma, un No sul tema dell’anno.

Lo Scudo Glogale

L’iniziativa dello Scudo Globale, nata sotto la presidenza tedesca del G7, altro non è che una mobilitazione di meccanismi assicurativi e attori dei settori insurance e disaster prevention, nell’ottica – osteggiata dai paesi in via di sviluppo – di considerare perdite e danni come un problema di polizze a fronte di disastri naturali crescenti in frequenza intensità, e non una questione di giustizia globale e responsabilità storica

Il Cancelliere tedesco Scholz ha dichiarato un sostegno federale all’iniziativa per €170 milioni proprio a COP27; l’Austria ha promesso €50 milioni, l’Irlanda €10, il Belgio €2,5 milioni – ma da destinare esclusivamente a progetti in Mozambico. Cifre assolutamente esigue a fronte dell’enormità dei bisogni. Non rientrano sotto lo Scudo Globale, invece, i fondi promessi dalla Danimarca qualche settimana fa.

Un segnale verso il G20

Una volta i Presidenti dei grandi Paesi occidentali arrivavano alle COP per spingere il processo in avanti, presentando piani, portando annunci da prima pagina. Oggi si ha l’impressione, complice il complesso e confuso scenario internazionale, che si venga invece per raccontare cosa si è fatto nell’anno. Se da un lato è vero che Biden non ha certo fatto passi indietro, non si può dire che ne abbia neanche fatti in avanti. Interessante notare che nel discorso non ha mai citato la Cina, neanche per allusioni. Una distanza tattica dal competitor prescelto – la Federazione Russa, citata in apertura, rimane e deve rimanere sullo sfondo, secondo Washington – che sembra più un lasciare spazio al dialogo, un non volersi toccare prima del momento giusto, in vista del previsto incontro tra Biden e Xi Jin Ping a Bali la prossima settimana, il primo dopo la crisi di Taiwan. Omissioni che lasciano spazio, che aprono strade.

Intanto, nelle sale negoziali

Intanto il negoziato su perdite e danni andava avanti, per la prima volta con alcune proposte pratiche sul tavolo. Quello che ormai è chiaro a tutti i negoziatori è che serve una roadmap condivisa per arrivare a COP29, l’anno indicato dalla presidenza egiziana come limite massimo per prendere una decisione in merito alla creazione o meno di uno strumento finanziario ad hoc. I paesi in via di sviluppo si rendono conto che correre troppo subito, nella totale assenza di definizione tecnica della questione, vorrebbe dire correre a cento all’ora contro un muro. COP27 deve portare ad una decisione su una tabella di marcia, la più ambiziosa possibile: non fondo sì, fondo no. 
Per capire meglio la posizione dell’Unione Europea in merito alla roadmap, come Italian Climate Network abbiamo partecipato (nella persona di Teresa Giuffrè) a un incontro bilaterale organizzato da Climate Action Network con i Capi delegazione dell’Unione europea, coordinati dalla Presidenza ceca del Consiglio dell’Unione Europea. Abbiamo posto una domanda precisa sulla posizione dell’UE in merito alle tempistiche del processo: ovvero, se l’UE sarebbe favorevole al raggiungimento di una decisione su perdite e danni già a questa COP27. I Paesi più vulnerabili premono per un processo che rifletta finalmente l’urgenza della questione, e chiedono che il risultato di COP27 sia la previsione da subito di uno strumento finanziario (finance facility).

La delegata di Italian Climate Network Teresa Giuffrè (a sinistra) durante l’incontro con i capi delegazione dell’Unione Europea a COP27, venerdì 11 novembre 2022.

La risposta dei Capi delegazione dell’Unione Europea sembra confermare la posizione dei Paesi sviluppati: l’UE percepisce l’urgenza del tema e apprezza il ruolo della società civile nel fare pressione su temi cruciali, ma non ritiene che sia fattibile raggiungere una decisione sul tema a questa COP. Per decidere su uno strumento adeguato, sarebbe ancora necessario stabilire con precisione quali siano le lacune dei finanziamenti e quali le modalità di finanziamento adatte in base ai diversi bisogni. 

Sebbene l’Unione Europea e gli altri Paesi sviluppati si mostrino aperti al dialogo, la società civile teme che la strategia sia quella di prendere ancora tempo: come ha fatto notare il Gruppo 77+Cina nel negoziato informale di venerdì, programmare ulteriori workshop e dialoghi tecnici non sembra una soluzione che riflette l’urgenza richiesta dal problema.

Ora serve pragmatismo: è utile uscire dal bipolarismo per il quale o si crea lo strumento finanziario (prima possibile) o si creano meccanismi assicurativi. La crescente polarizzazione delle posizioni tra paesi ricchi e paesi poveri, se non mediata, rischia di portare questa COP ad una escalation potenzialmente deleteria per i bisogni di entrambi, in particolare quelli dei più fragili. 

Articolo a cura di Jacopo Bencini, Policy Advisor e UNFCCC Contact Point, e Teresa Giuffrè, volontaria sezione Clima e Advocacy

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