DIRITTI UMANI ALLA COP27: A CHE PUNTO SIAMO ARRIVATI
Siamo alla fine della prima settimana di COP27. Il Team di ICN si è prodigato per seguire i negoziati sui diversi ITEMs dell’Agenda COP (qui per iscriversi al nostro bollettino). Come sanno i lettori che ci seguono, la COP27 quest’anno si sta concentrando moltissimo sul tema della finanza climatica e grandi attese risiedono anche sulle trattative in materia di Loss&Damage. Non si può che dire che non ci si aspettava nulla di diverso. Gli effetti del cambiamento climatico stanno gravando sempre di più e i Paesi del Global South stanno affrontando senza mezzi e risorse le costose perdite e i danni da essi derivanti. La necessità che i Paesi Sviluppati facciano la loro parte giungendo ad una decisione operativa su aiuti concreti ai Paesi colpiti è talmente urgente che il tema ‘pecuniario’ non poteva che essere centrale. Ma questo da solo è sufficiente? Non ne siamo convinti.
Va innanzitutto ricordato che la lotta al cambiamento climatico non richiede solo il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi con il dispiegamento di ingenti somme di denaro in materia di mitigazione e adattamento. La vera sfida è adempiere a tali obiettivi assicurando giustizia climatica.
Quando parliamo di giustizia climatica intendiamo la necessità di garantire un ‘riequilibrio’ dei rapporti tra Paesi del Global North e del Global South. Questo significa, in primo luogo, che non è possibile chiedere a coloro che non hanno causato il surriscaldamento globale di pagarne i costi. Questo principio è anche incardinato nell’Articolo 3 della Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico (UN Framework Convention on Climate Change) che sancisce il principio delle responsabilità comuni ma differenziate.
In secondo luogo, significa anche prendere atto che il cambiamento climatico agisce da moltiplicatore di rischi già esistenti. Ancora prima che vedessimo i suoi effetti, il mondo era diviso tra chi soffriva le ineguaglianze sistemiche della nostra società e chi invece beneficiava di privilegi. In questo senso si fa una distinzione tra Paesi del Global North e del Global South. Gli effetti del cambiamento climatico amplificano tutto questo. In ‘soldoni’ chi se la passava già male ora se la passa anche peggio. E tutto ciò si traduce in costanti violazioni di diritti umani. Ecco perché non si può prescindere da un approccio ai negoziati che non sia anche calato nel discorso sui diritti umani e del suo specifico linguaggio.
Da questo punto di vista, come ICN notiamo che c’è ancora molta strada da fare.
Il timore è che la pressione che si respira qui a COP27 per risolvere le questioni finanziarie distolga ancora una volta l’attenzione dei Paesi dall’occuparsi anche di ulteriori temi altrettanto importanti. Pensiamo ad esempio al fenomeno delle migrazioni climatiche (ne avevamo già parlato qui). Nonostante il tema sia formalmente parte dei dialoghi delle agenzie ONU da più di un decennio lo stesso non è oggetto dell’Agenda COP27. Timidamente se ne sta parlando con parte del tema del Loss&Damage ma solo in side events dedicati. Qualche passo avanti è stato fatto in materia di gender equality con l’adozione del Gender Action Plan nel 2017 e l’avvio nel 2019 dei 5 anni dell’Enhanced Lima Work Programme on Gender e il suo Gender Action Plan (Decision 3/CP.25). Ma ancora siamo all’inizio.
Anche con riferimento alle tematiche che già sono indicate come ITEMS dell’Agenda COP27, soprattutto quelle centrali sulla finanza, non si può che constatare che i Paesi fatichino ad integrare all’interno dei testi un linguaggio che sia centrato sui diritti umani e dunque inclusivo e trasformativo. Questo non significa che non sia positivo che si parli di finanza climatica, ma è necessario che il discorso non sia focalizzato su meri aspetti economici. L’obiettivo ultimo dev’essere quello di garantire sollievo e protezione a milioni di persone ,e non occuparsi degli interessi di investitori e banche.
Un’ultima menzione va fatta poi ai diritti umani di accesso e partecipazione. A questo riguardo va detto che, affinché sia garantita giustizia climatica, è necessario che le persone e le comunità più colpite dal cambiamento climatico siano parte del processo decisionale. Sicuramente grandi passi avanti sono stati fatti soprattutto dopo COP21 con la creazione di una struttura ibrida che desse spazio all’azione dal basso della società civile. Questo ha portato al riconoscimento formale delle nove constituency della società civile in seno all’UNFCCC che hanno il ruolo di osservatori (observers) dei negoziati. Tuttavia ancora non tutti i membri della società civile hanno ricevuto adeguata rappresentazione alle COP. Rileviamo infatti che è ancora fortemente carente tutta la parte dei diritti delle persone con disabilità, non esistendo nemmeno una constituency ad hoc per questa categoria.
Inoltre, avere accesso ai tavoli negoziali significherebbe eliminare anche gli ostacoli logistici che impediscono agli observers di prendere parte ai lavori ed esercitare forme di pressione sui negoziatori. Non possiamo non notare che i costi di vitto e alloggio anche per questa COP27 siano innegabilmente alti e ciò ha impedito ad alcuni esponenti della società civile (soprattutto delle piccole associazioni e delle comunità indigene) di essere presenti ai negoziati. L’assenza di queste voci è chiaramente una occasione persa. Il processo negoziale deve rimanere aperto ed inclusivo perché giustizia climatica sia fatta.
Articolo a cura di Erika Moranduzzo, volontaria Clima e Diritti
Foto di copertina: credit Wikipedia (Fridays for Future demonstration in Berlin in September 2021)