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Nov

FINANZA FANTASMA, FINANZA SENZA REGOLE

Ogni COP è scandita da giornate tematiche, e il 9 novembre è stata la giornata della finanza per il clima a COP27. Non che questo abbia pregiudicato altri negoziati: nelle stanze si continua sempre e comunque a negoziare su tutti i temi. Il mondo fuori, invece, vive anche di queste giornate a tema che di solito sono caratterizzate da annunci di nuove misure, iniziative, novità che spesso, in un circolo virtuoso, influenzano a loro volta il negoziato vero.
A COP26 il Governo britannico aveva investito capitale politico nell’extra-negoziato e questo aveva generato un numero roboante di nuove iniziative multilaterali. La giornata della finanza di COP27 ha, invece, lasciato un certo amaro in bocca proprio per l’assenza di annunci di peso, se non addirittura per qualche passo indietro.

Il nuovo piano USA non convince

A conquistare i titoli dei giornali l’annuncio dell’Inviato Speciale per il Clima degli Stati Uniti d’America, John Kerry, che ha proposto un nuovo piano di crediti per emissioni su base volontaria, chiamato “Energy Transition Accelerator”. In sostanza, il nuovo piano prevede la possibilità per i Paesi in via di sviluppo di erogare crediti per emissioni per azioni e iniziative virtuose nella mitigazione delle emissioni climalteranti, da vendere ai Paesi ricchi ricalcando schemi esistenti e secondo l’approccio delineato dall’Articolo 6.2 dell’Accordo di Parigi. Ad esempio, varrebbe un quantum lo stop alla costruzione di centrali a carbone precedentemente inserite nella pianificazione nazionale, come anche l’installazione e la produzione di energia da fonti rinnovabili. Difficile commentare oltre, visto che ad oggi non è ancora disponibile nessun ulteriore dettaglio. In sintesi, l’eventuale investimento o potenziale perdita economica nel cambio di programmazione verso azioni più virtuose (ma cambiare ha un costo, come investire in nuove strade) verrebbe compensato dalle risorse introitate dalla vendita dei crediti. Un meccanismo ad oggi ancora troppo vago, ed è stato accolto dubbiosamente dalla maggior parte degli osservatori, inclusi alcuni delegati europei, come riportato da Politico.

Un’Alleanza alla deriva

Durante COP26 a Glasgow l’ex Governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney aveva lanciato, assieme a Michael Bloomberg, l’ambiziosa iniziativa GFANZ – Glasgow Financial Alliance for Net Zero, l’Alleanza finanziaria di Glasgow verso emissioni zero. Secondo gli annunci, GFANZ sarebbe stata in grado di mobilitare ben $130 trilioni in capitali privati a sostegno della finanza per il clima tramite i suoi oltre 550 membri, attori dei settori asset, banking, assicurazioni e consultancy di vario tipo e livello. Una cifra già a suo tempo vista come spropositata da molti osservatori, se consideriamo che rappresenterebbe 6,5 volte il PIL degli USA, 68 quello dell’Italia, oltre mille volte l’obiettivo annuale di finanza climatica stabilito a Copenhagen nel 2009, $100 miliardi all’anno. A promesse irrealistiche era seguita una certa strutturazione di governance: il monitoraggio sulla qualità dell’iniziativa e sui piani delle realtà che avrebbero voluto aderire sarebbe spettato a Race to Zero Campaign, l’iniziativa delle Nazioni Unite incaricata di accelerare la mobilitazione finanziaria verso gli obiettivi di Parigi e Glasgow. Race to Zero avrebbe avuto un vero e proprio potere di esame delle candidature, per intendersi, di banche e istituti assicurativi intenzionati ad aderire.

Il controllo di Race to Zero deve aver spaventato alcuni attori, tanto che a ridosso dell’inizio di COP27 l’iniziativa ONU è stata declassata da GFANZ da supervisore a mero partner, facendo uscire quindi l’Alleanza, nei fatti, dal controllo ONU. Un modo, a detta di osservatori esperti, per non perdere per strada alcuni grandi nomi della finanza statunitense che avevano inizialmente aderito, salvo poi dimostrare ritrosie a fronte della crescente tendenza nel linguaggio onusiano a citare la necessaria uscita dal carbone, tema che negli USA può ancora portare un soggetto privato – pur nella massima buona volontà – di fronte all’antitrust per scorrette pratiche di mercato, concorrenza sleale e finanche l’accusa di sabotaggio di servizi essenziali.

La presentazione, il 7 novembre, del report dell’ONU sulle linee guida su come prevenire il greenwashing nella finanza per il clima ha ulteriormente alzato gli standard di qualità, e quindi peggiorato l’umore dei membri più ambigui di GFANZ. Anche l’invito del Segretario Generale dell’ONU Guterres a tutti i membri di iniziative simili a mettersi in regola con le nuove linee guida entro la prossima COP28 deve aver lasciato strascichi simili. Ad oggi, ad esempio, tra le centinaia di organizzazioni parte di GFANZ meno del 10% ha piani industriali e di investimento con espliciti riferimenti all’abbandono del carbone, la più inquinante delle tecnologie climalteranti.

A tentare di salvare GFANZ da un prematuro affondamento è stato proprio Bloomberg, che qui a COP27 ha annunciato che la sua Bloomberg Philantropies supporterà sicuramente GFANZ assieme ai Governi e alle autorità locali del mondo nella battaglia per rimanere sotto l’aumento di 1,5°C di temperatura media globale, secondo la nuova visione strategica di “approccio esteso” dalla realtà filantropica. GFANZ, da canto suo, si è impegnata nel creare nuovi strumenti di supporto nella redazione di progetti per quei Paesi e regioni dove oggi la finanza per il clima non arriva, semplicemente, a loro dire, perché in loco non si è in grado di redigere progetti sufficientemente attrattivi, finanziabili.

Non dimentichiamo che chi lancia il salvagente, in questo caso Bloomberg, è anche co-chair della stessa GFANZ assieme a Carney.

E i 100 miliardi di dollari?

Neanche quest’anno il mondo sviluppato e ricco riuscirà a mobilitare i 100 miliardi di dollari all’anno in finanza per il clima, promessi ormai ogni anno dal 2009. Non lo farà durante questa COP e – nonostante una costante crescita nelle mobilitazioni negli ultimi anni fino al superamento degli $80 miliardi nel 2021 – ci si domanda se mai questo obiettivo sarà veramente raggiunto, considerato che la scadenza originaria era il 2020.
Nel frattempo sono, comunque, iniziati i negoziati tecnici sulla definizione del nuovo obiettivo globale di finanza climatica in vigore dal 2025, con tutto l’ottimismo di chi cerca di rilanciare prima ancora di aver avuto sufficienti garanzie di portare a casa almeno il minimo indispensabile. Un obiettivo adeguato alle necessità, secondo gli ultimi studi, dovrebbe attestarsi sopra ai 1000 miliardi di dollari all’anno (almeno dieci volte l’attuale obiettivo, mai raggiunto). Cina e India a COP26 chiesero 1.300 miliardi; ricordiamo come andò a finire.

Articolo a cura di Jacopo Bencini, Policy Advisor e UNFCCC Contact Point

Foto di copertina: Bluewin.ch

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